Oggi conoscerei la storia di un comune aggettivo Veneziano e non solo, che nasce e affonda le sue radici da un vero e proprio mestiere riconosciuto dal Doge e dalla Serenissima: la storia della "pittima", ovvero una persona uggiosa, fastidiosa, lamentosa e pedante. Ma prima di essere un aggettivo, cos'era la "pittima"

La storia del termine "pittima": dall'etimologia ai giorni nostri

Etimologicamente la parola "pittima" deriva dal greco antico (ἐπίϑεμα), o meglio «ciò che è posto sopra». Ma cosa si intendeva per pittima? Anticamente in Grecia, questo termine veniva utilizzato per indicare un decotto di aromi nel vino che si applicava caldo per fini terapeutici: un impacco che veniva appoggiato delicatamente sopra le ferite causando fastidi e impacci, oltre a limitare la mobilità della persona malata o ferita. Oggi, il termine "pittima", resta fedele alle sue origini ma viene utilizzato per definire una persona fastidiosa e che si lamenta continuamente: in lingua veneta, la frase genericamente più utilizzata per definire "pittima" una persona è: "Ti xe proprio na pittima!" ovvero "Sei proprio uno che si lamenta di continuo per nulla!". Il termine è utilizzato non solo in dialetto veneto ma anche in altri dialetti del nord Italia, come il genovese o anche quello fiorentino, che si differenzia leggermente rispetto agli altri identificando una persona noiosa e che si lamenta in continuazione di piccole cose. Dunque il termine pittima è divenuto più generalmente un sinonimo di persona che insistentemente si lamenta sempre, con piccole differenze a seconda del dialetto. Ma qual è stato il motivo per il quale il termine pittima, oggi, ha questo significato? 

Una professione ai tempi della Repubblica di Venezia

Prima di diventare un comune appellativo, fare la "pittima" era una professione e indicava una persona che esercitava un mestiere riconosciuto e legittimato. Pittima, ai tempi della Repubblica di Venezia, era il termine con cui veniva definita una persona ingaggiata e pagata da creditori per seguire costantemente i loro debitori. Era una sorta di esattore che aveva come unico compito quello di ricordare ai debitori di saldare il debito. Questa figura non era comune solo a Venezia, ma anche in altre repubbliche marinare come Genova e Napoli. Ciò che caratterizzava la pittima era il forte lamento con il quale pedinava il debitore, generando in quest'ultimo umiliazione e imbarazzo sociale, tanto da essere incentivato a saldare il debito per porre fine a questa vergogna. La pittima era molto motivata a far sì che il debitore estinguesse i propri debiti, in quanto la riscossione gli poteva fruttare una percentuale di guadagno dal valore interessante. Non era affatto difficile riconoscere una pittima, non solo per le lamentele a gran voce e costanti ma anche per l'abito indossato, caratterizzato da un rosso fuoco molto acceso. Il compito della pittima era quindi quello di indurre al debitore (ma anche alle persone che osservavano la scena), un buon comportamento all'interno della comunità veneziana, non solo a livello sociale ma anche morale. Sembrerebbe un compito semplice, senza alcuna competenza e soprattutto ben pagato, ma non tutti potevano ricoprire questo ruolo nella società Veneziana. Infatti, per diventare pittima, bisognava essere emarginati, disagiati e quindi individui bisognosi di assistenza sociale. La lungimiranza del Doge prevedeva un annullamento di questo tipo di povertà offrendo in cambio della loro professione del cibo e un alloggio gratis. Oltre a questo cambio drastico di status, la pittima era anche tutelata da una legge speciale: nel caso in cui una persona pedinata gli avesse recato danno, sarebbe stata condannata nel breve periodo. In questo modo, quindi, i conti venivano quasi sempre regolati e l'equilibrio pubblico mantenuto con estrema cura e attenzione.