Il palazzo che custodisce misteri che non trovano spiegazione

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L’affascinante città di Venezia nasconde, dietro l'eleganza e la maestosità architettonica incorniciata dai canali che bagnano le fondamenta, numerose leggende e luoghi misteriosi. Tra le storie e gli inquietanti racconti che aleggiano in città, alle quali i residenti credono fortemente, c’è quella di Ca’ Dario, un palazzo definito “maledetto” dati i segreti celati all’interno delle sue mura. Il palazzo è ubicato al civico 353 del sestiere di Dorsoduro, a due passi dalla Chiesa di Santa Maria della Salute, e rivolge la sua facciata asimmetrica verso il Canal Grande. Edificato a partire dal 1479, attualmente il Palazzo è chiuso al pubblico, celando al suo interno le verità relative a “spiacevoli eventi” accaduti ai proprietari che vi hanno dimorato, tutti morti dopo aver acquistato il palazzo. 

Storia di Ca’ Dario: un palazzo nato come ringraziamento dal quale oggi tutti si tengono alla larga

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L’edificazione del Palazzo ha le radici nella storia e nei rapporti economici che la Repubblica di Venezia aveva con l’Oriente: forte era il legame che la città aveva con Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente, considerata il centro principale dei suoi traffici commerciali col mondo dell’Est. Ma nel 1453 a seguito della conquista dell’Impero da parte del Sultano Maometto II, Costantinopoli si ritrovò nelle mani dei Turchi col nome di Istanbul: i rapporti tra veneziani e turchi non erano di certo floridi, e 26 anni di guerre misero in ginocchio l’economia della Serenissima. Si tentò allora di stringere un accordo di pace, e il Senato inviò in terra straniera un mercante, notaio e segretario ducale che prestava servizio per la Repubblica: Giovanni Dario. Siamo alla fine degli anni Settanta del Quattrocento e Dario ritornò in patria con un trattato di pace e degli accordi economici estremamente vantaggiosi. Fu considerato un eroe, e insieme all’appellativo di “salvatore della patria”, la Repubblica gli conferì anche un titolo nobiliare, un terreno e una ingente somma di danaro. Dario decise così di costruire il palazzo e rendere ringraziamento alla città: sulla facciata del palazzo che guarda il Canal Grande l’iscrizione “JOANNES DARIVS VRBIS GENIO” ossia “Giovanni Dario, al Genio della città” sta ad indicare proprio che Dario con la realizzazione dell’edificio rendeva omaggio e ringraziamento alla sua città.

Nel 1479 egli commissionò all’architetto e scultore Pietro Lombardo la costruzione dell’edificio. Alla sua morte, avvenuta cinque anni dopo, la figlia Marietta Dario ereditò il palazzo, che passò poi al marito Vincenzo Barbaro, un mercante di spezie già proprietario di un palazzo in Campo San Vio. Il Palazzo rimase in possesso della famiglia Barbaro fino alla prima metà del 1800, per poi essere venduto ad un commerciante armeno di pietre preziose. Dalla sua morte avvenuta in seguito al suo fallimento, la ricca dimora passò di proprietario in proprietario con sempre maggior frequenza. Le “maledizioni” non trovarono fine e proseguirono fino ai giorni nostri: non colpivano solo i proprietari che risiedevano all’interno delle mura, ma sembrava accadesse qualcosa di terribile a chiunque avesse acquistato la residenza ovunque questi si trovasse. Sono state avanzate varie ipotesi sul Ca’ Dario: alcuni sostengono che il palazzo sia stato costruito su un cimitero dei templari, altri pensano che venga influenzato negativamente dal talismano che allontana la negatività posto sul portone acqueo del palazzo accanto, altri ancora che fosse un crocevia di forze di origini oscure o che il terreno e l’edificio precedente siano stati teatro di qualcosa di estremamente malvagio. Si dice inoltre che Ca' Dario sia tuttora abitato dagli spiriti dei precedenti proprietari e molti Veneziani, alquanto superstiziosi sulle vicende relative al Palazzo, si tengono costantemente alla larga e, addirittura, evitano di passarci accanto e preferiscono circoscriverlo passando per il Rio Terà degli Assassini: i più temerari raccontano d'aver avvertito uno strano senso di inquietudine entrandoci o anche guardandolo da fuori.


L’architettura gotica che sposa elementi decorativi orientali

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Esempio sublime di gotico fiorito che lascia spazio ad elementi architettonici rinascimentali, il Ca’ Dario si affaccia sul Canal Grande. La mancanza di simmetria e la ricca decorazione in marmi policromi ricorda la più famosa Cà D’Oro: niente nell’aspetto estetico del palazzo fa pensare alle tragedie che si sono consumate nei secoli all’interno delle sue mura.  La facciata asimmetrica, se ammirata frontalmente, pende sul lato destro a causa di un cedimento, e si presenta rivestita da svariate tipologie di marmi volutamente policromi alternati alla tipica pietra d’Istria. Il retro, più sobrio e disomogeneo, è dipinto di rosso veneziano e si affaccia su Campiello Barbaro. Differentemente dal retro che presenta una piccola terrazza al terzo e ultimo piano e tre slanciate finestre sottostanti che richiamano elementi orientali date le origini dalmate di Giovanni Dario, la facciata presenta al piano terra due monofore laterali e un portale ad acqua, e ciascuno dei tre piani superiori è illuminato da finestre quadrifore e da una monofora isolata sul lato opposto. Al secondo piano è evidente una leggera balconata neogotica larga quanto tre delle quattro finestre quadrifore, aggiunta nel XIX secolo. Elementi decorativi circolari compensano lo spazio esterno che divide le due finestre e i camini, sul tetto del palazzo, sono fra i pochi esemplari originali dell'epoca sopravvissuti fino ad oggi. L’interno è caratterizzato prevalentemente da elementi marmorei come colonne, una vera da pozzo all’interno dell’atrio al piano terra, delle scale accuratamente decorate e una fontana interna di chiara ispirazione orientale, oltre che alle pareti sulle quali è stato usato un tono rosso veneziano insieme ad un colore dorato che esalta la raffinatezza. 

Il segreto di quell’elogio: semplice scritta o anagramma che sa di presagio?

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La particolarità e la bellezza architettonica del Ca’ Dario si contrappone agli spiacevoli eventi capitati agli ex proprietari, che hanno permesso allo stesso di ricevere l’appellativo di “palazzo maledetto”: la maggior parte di coloro che ne sono stati padroni non solo sono morti per omicidio o suicidio, ma hanno anche passato gli ultimi anni della loro esistenza in povertà dato un fallimento finanziario riconducibile al possesso della proprietà. Tutto inizia dalla famosa iscrizione sulla facciata, che recita “JOANNES DARIVS GENIO ”, un chiaro elogio latino probabilmente suggerito dall’architetto e scultore Pietro Lombardo che significa “Giovanni Dario, al genio della città”, come detto in precedenza. È curioso come l’anagramma della stessa frase riveli quasi il destino dei futuri proprietari, recitando: “SVB RVINA INSIDIOSA GENERO” ovvero “Io genero sotto una insidiosa rovina”; sembra quasi volesse maledire, ad esclusione di Giovanni Dario, tutti i padroni successivi a partire dalla figlia. Si dice che furono i veneziani a fare l’anagramma, profondamente colpiti dalle morti di Vincenzo Barbaro, la moglie Marietta Dario e il figlio Giacomo, dopo il decesso violento di quest’ultimo avvenuto nel 1542. Le disgrazie iniziarono subito: ad esclusione di Giovanni Dario che perse solo la sua influenza negli ultimi anni di vita ma morì in circostanze naturali, la figlia morì di cardiomiopatia da stress (o suicida, non si conoscono le reali cause della morte) dopo il fallimento del marito che conseguentemente morì accoltellato; la stessa sorte toccò al figlio che morì in un agguato in una località di Creta. Ca’ Dario fu ereditato dalla famiglia Barbaro fino al XIX secolo fino a quando fu venduto ad Arbit Abdoll, un mercante di pietre preziose che perse subito le sue ricchezze in seguito all’acquisto e fu costretto a vendere per sole 480 sterline il Palazzo a Rawdon Brown, uno storico inglese che anch’egli, quattro anni dopo l’acquisto, fu costretto a venderlo per mancanza di fondi per mantenerlo. Fu acquistato da un conte ungherese per poi essere rivenduto ad un ricco irlandese, fino ad appartenere alla contessa Isabelle Gontran de la Baume-Pluvinel e dalla sua amica Augustine Bulteau che ospitarono il poeta francese Henry De Règnier fino al momento in cui tornò in Francia a causa di una grave malattia. Nel dopoguerra fu acquistata dal miliardario americano Charles Briggs che fuggì dalla città in quanto accusato di omosessualità, che a quei tempi era un reato e, trasferitosi in Messico, perse il suo amante che fu ucciso. 

Gli spiacevoli eventi legati al Ca’ Dario fino ai giorni nostri

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Ca’ Dario sembrerebbe anche in grado di colpire a distanza chi si interessò molto all’acquisto, e un esempio potrebbe essere quello del tenore Mario del Monaco che nel 1964 mentre era in viaggio per visitare il palazzo ebbe un grave incidente automobilistico che lo costrinse temporaneamente ad interrompere le sue attività. In seguito, non volle più acquistarlo proprio per le voci che circolavano sul palazzo. Definito come un’entità pensante e maligna che attacca a livello fisico e psicologico tutti coloro che sono entrati in contatto con esso, pochi anni dopo fu acquistato dal conte Filippo Giordano delle Lanze che fu ucciso all’interno delle mura dal suo amante Raul Blasich, un marinaio croato che in seguito alle vicende fuggì a Londra per poi essere brutalmente assassinato. Nei primi anni del 1970 il palazzo fu acquistato da Christopher "Kit" Lambert, manager del gruppo musicale The Who che, pur sostenendo di non credere affatto alla maledizione, non solo subì una crisi finanziaria aggravata dall’uso di stupefacenti che minarono anche il rapporto con la band, ma dichiarò ad alcuni amici di dormire altrove “per sfuggire ai fantasmi che nel Palazzo lo perseguitavano”. Decise quindi di venderlo a Fabrizio Ferrari, un uomo d’affari veneziano, e tre anni dopo morì. Il nuovo proprietario decise di trasferirsi insieme alla sorella, ma il destino di entrambi era già scritto: la ragazza morì in un incidente stradale mentre lui cadde in rovina e fu arrestato per svariate accuse. Il finanziere Raul Gardini acquistò il palazzo alla fine degli anni 80 ed in seguito ad una crisi seguita da pesanti scandali giudiziari, si suicidò in circostanze incerte nel 1993. Il fascino romantico e malinconico del palazzo incuriosì Woody Allen che al termine degli anni 90 sembrava intenzionato ad acquistarlo, ma si trattenne dal farlo. Nel 2002 John Entwistle, bassista dei The Who, non curante delle vicende dell’ex collega, affittò il Palazzo per una vacanza a Venezia: morì una settimana dopo il rientro per infarto a causa di una dose di cocaina, anche se era da tempo malato di cuore. Nel 2006 la proprietà passò ad una società americana che rappresentava un acquirente ignoto e da quel momento si trova in fase di restauro. Nonostante il male che si cela dietro il portone d’ingresso, gli spiacevoli eventi e le dicerie, c’è chi ha utilizzato il Palazzo per generare arte: Claude Monet dipinse la facciata del Ca’ Dario in una serie di dipinti impressionisti, tutti dalla stessa prospettiva ma con condizioni di luce differenti e Giorgio Pes, designer italiano e arredatore del film “Il Gattopardo”, intervenne in operazioni di restauro, arredo e sistemazione degli interni nel 1977.

E voi, siete superstiziosi?