Appena giunti a Venezia, dalla stazione Santa Lucia o da Piazzale Roma, dove avremmo lasciato i nostri mezzi su ruote per goderci un soggiorno di passeggiate a piedi e itinerari a pelo d’acqua, percorrendo la strada più bella del mondo, il Canal Grande, la nostra attenzione sarà presto attirata da uno dei palazzi più affascinanti della città.
La particolarità di questo magnifico palazzo è intuibile già a prima vista: rispetto alle altre costruzioni che lo circondano ha un'architettura diversa. In effetti, la sua configurazione è stata volutamente impostata secondo i nuovi dettami dell'edilizia romana, a quei tempi, gli inizi del Quattrocento, ancora sconosciuti in una città come Venezia. Molto particolare per l'epoca la facciata rivestita interamente in pietra d'Istria al posto dei mattoni a vista o intonacata, così come gli elementi decorativi raffiguranti ghirlande, panoplie e protomi leonine molto simili a quelli usati per ornare la facciata orientale di Palazzo Ducale: doveva risultare a quel tempo una costruzione all’avanguardia! Oggi sulla sua facciata, che si riflette nelle acque del Canal Grande un drappo rosso con la scritta “Casinò di Venezia” ci da testimonianza di grandi cambiamenti…
Siamo arrivati a Ca' Vendramin Calergi!



Ca' Vendramin Calergi: una storia ricca e noir...

Edificio dallo stile Rinascimentale veneziano, fu commissionato da Andrea Loredan a Mauro Codussi nel 1481: Ca' Vendramin doveva essere la fotografia della potenza e della ricchezza della famiglia Loredan. Andrea Loredan, fu uomo di grande orgoglio e di elevata superbia, già Senatore nel 1494, Savio di Terraferma nel 1502, Podestà a Brescia negli anni 1503-1504, morì in battaglia decapitato da due soldati che si disputarono il suo corpo. Egli, però, non fu soltanto orgoglio e superbia, ma anche umanista protettore delle arti in generale e mise, infatti, nella fabbrica di Ca' Vendramin energie e capitali ingenti per ottenere una dimora all'altezza del suo valore e della dignità del suo casato.

A guardare bene la parte basamentale della costruzione si scorgerà uno particolare piuttosto singolare: è l'incisione scolpita sulla facciata principale che si affaccia su Canal Grande,”Non nobis Domine, non nobis”. Questo era l'incipit del Salmo 115 dell'Antico Testamento ed era la parte iniziale di un motto dei Templari di cui la formula completa era: “Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam” ovvero “Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome dà gloria". In effetti, pare che Andrea Loredan nutrisse un certo interesse per l'Ordine dei Templari e che fosse molto vicino ad esso, e che addirittura il suo palazzo fosse proprio uno dei ritrovi, ovviamente segreti, dell'Ordine di Venezia. Con questa iscrizione, Loredan sembra quasi voler dissimulare la sua ostentazione di ricchezza, palesando quindi in contrapposizione un forte senso di umiltà e devozione verso il Signore.

Nel 1581, dopo circa sessant'anni dalla morte di Andrea, gli eredi vendettero l'edificio al Duca di Brunswick il quale, dopo alcune traversie legali estremamente complicate, lo cedette nel 1589 al nobiluomo Vettor Calergi, appartenente ad una famiglia feudale cretese che aveva spesso creato non pochi problemi alla Serenissima, che aveva possedimenti sull'isola. Il padre di Vettor, Matteo Calergi, fu infatti ucciso nel 1572 dal capitano generale dell'isola Marino Cavalli a seguito di situazioni che turbavano l'equilibrio della Serenissima, e l'atto fu infatti giustificato in nome della ragion di stato. Il nuovo proprietario acquistò il Palazzo in occasione  delle sue nozze con Isabella Gritti, dalla quale ebbe una sola figlia, Marina, che nel 1608 sposò Vincenzo Grimani.

Nel 1614 Calergi fece ampliare, su progetto di Vincenzo Scamozzi, l'ala destra del palazzo, donando alla struttura dello stesso l'attuale forma ad “L”.  Alla sua morte, il palazzo fu ereditato dai tre figli di Marina, i quali ebbero l'obbligo ereditario di assumere il nome Calergi. I tre fratelli, però, erano soggetti molto bellicosi e inclini alla violenza: si narra che nel 1658, una notte, rapirono il loro acerrimo nemico, Francesco Querini Stampalia, e lo portarono a Ca' Vendramin, dove lo torturarono fino alla morte dandolo, secondo la leggenda, in pasto ad una tigre. Il delitto fu però scoperto dalle autorità della Serenissima, i fratelli vennero espulsi dalla città e l'ala della casa, quella costruita dal nonno nel 1614, fu demolita e al suo posto fu eretta una colonna d'infamia in ricordo dell'accaduto. Nel 1660 i fratelli Grimani ritornarono donando alla Repubbica 7350 ducati a sostegno della guerra contro i turchi, fecero così ricostruire l'ala demolita e così fu tutto perdonato. Almeno così pare...

Nel 1739 il palazzo passò per questioni dinastiche a un pronipote di Marina Grimani, Niccolò Vendramin, che arricchì il palazzo con statue e colonne provenienti da varie parti, e a cui si deve l'attuale nome del palazzo. La struttura resterà di proprietà della famiglia fino al 1844, anno in cui fu ceduto alla principessa Carolina di Borbone la quale fece costruire al suo interno un teatro che sarebbe stato frequentato da tutti i patrizi veneziani. Il sopraggiungere di difficoltà finanziarie costrinse la principessa a dover richiedere l'aiuto di suo figlio Enrico Conte di Chambord, il quale onorò i debiti della madre dando il palazzo alla famiglia Lucchesi Palli.

Nel 1930 Ca' Vendramin Calergi fu acquistato da Giuseppe Volpi, Conte di Misurata che lo cedette nel 1946 al Comune di Venezia che lo destinò a sede del Casinò municipale, come tutt'ora è.

Il palazzo: lo specchio interiore di Andrea Loredan

Se comunemente si suol dire che “gli occhi sono lo specchio dell'anima”, per Andrea Loredan dovremmo fare un'eccezione e modificare il detto in “il palazzo è lo specchio dell'anima”!

Come abbiamo appena detto, la magnifica costruzione, aveva un carattere del tutto nuovo rispetto a quelle che all'epoca adornavano Venezia.

Lo stile è rinascimentale, ma la sua più grande peculiarità è che trae ispirazione dalle nuove concezioni edilizie già sperimentate a Roma e a Firenze con Leon Battista Alberti. Insomma, il Palazzo si pone in un'ottica che vuole promuovere innovazione e lustro alla città.

Ma, analizzando la figura di Andrea Loredan e la struttura di cui stiamo parlando, viene da chiedersi in che misura egli fosse davvero interessato a valorizzare ulteriormente Venezia, o se il suo interesse in realtà servisse solo per coprire di maggior prestigio il proprio casato.

Non resta che analizzare più nel dettaglio la struttura architettonica dell'edificio.

Sulla facciata principale del Palazzo sono presenti diversi elementi che ci parlano dell'innovatività dell'opera che si presenta con una voluta coesistenza di tre ordini architettonici dell'antichità sovrapposti tra loro. Al primo livello coppie di lesene con capitello dorico suddividono lo spazio ed incorniciano le aperture: due semplici finestre dalla forma regolare ai lati che si “travestono” da bifore, un trittico di aperture con arco a tutto sesto nella parte centrale, la porta d’acqua, in cui quelle laterali sono bifore, presentandosi con una colonnina centrale da cui partono altri due piccoli archi a tutto centro che si connettono con quello principale grazie alla presenza, del tutto singolare a Venezia, di un oculo.

Al piano superiore, il piano nobile, le lesene diventano semicolonne con capitello ionico che incorniciano le bifore a tutto sesto che trovano perfetto equilibrio con le aperture del piano sottostante: queste assieme al binato delle campate poste all'estremità, rievocano la ritmicità e la dinamicità dell'arco trionfale. Questo livello è dominato dalla presenza dei balconi con balaustra a colonnina, sorretti da grossi mensoloni sottostanti. Il terzo e ultimo livello è perfettamente uguale a quello sottostante, ma qui i balconi lasciano il posto ad un ampio cornicione che pare sorreggere tutto il piano.

Infine, a completare ed impreziosire l'intera struttura, a chiudere la costruzione vi è l'imponente cornicione che si fa ben notare con le sue tipiche mensole e dentelli, e con un sottostante fregio in stile corinzio, in cui sculture raffiguranti coppie di aquile si alternano ritmicamente con scudi con lo stemma del casato e vasi, da cui fuoriescono delle fiamme, e liocorni. La loro disposizione segue un'andatura ben precisa: le aquile sono in corrispondenza delle coppie di semi colonne, mentre le altre sono poste in modo alternato in corrispondenza dei sostegni singoli. Un ordine tecnico e visivo. La fattura di queste raffigurazioni è di altissimo fattura: molto probabilmente, la complessità e la qualità formali fanno pensare che appartengano alla bottega dei Lombardo.

Una chiusura in grande stile, possiamo sicuramente affermare, che connota fortemente il Palazzo come particolarmente avanguardista per le costruzioni già esistenti all’epoca.

Infine, la famosa incisione “Non nobis domine” in un contesto così imponente e così tanto lontano da quella umiltà e quel valore di parità tra i patrizi, molto sentita all'epoca di Loredan, sembra quasi essere una sorta di excusatio non petita, accusatio manifesta, che mette in rilievo il senso di colpa per la mancanza di modestia, palese in Ca' Vendramin.

La facciata, decorata con marmi policromi che donano raffinatezza ed opulenza, grazie al perfetto equilibrio di pieni e vuoti, di luci e ombre, sembra assomigliare ad un merletto di Burano che riporta la costruzione sul linguaggio veneziano, allontanandosi dai paragoni con i palazzi fiorentini dell’Alberti.

Ma spostiamoci all'interno...

Appena entriamo dall'ingresso d'acqua, ci ritroviamo nel classico ambiente, onnipresente nelle costruzioni veneziane, che percorre l'intero Palazzo, il portego.

Come era consuetudine tra le persone più abbienti del 500 a Venezia, anche Andrea Loredan era un vero e proprio collezionista di opere d'arte: pareva ci tenesse particolarmente a queste opere, al punto che nel suo testamento impose che non sarebbero dovute essere vendute per nessuna ragione e che dovessero restare all'interno di Ca' Vendramin.

Ora, immaginiamoci a percorrere in quell’epoca d’oro il portego e a vedere gli affreschi di Giorgione, ormai persi, ahimè! Ma non finisce qui! Pare che tra le opere presenti ce ne fosse anche una Tiziano, “Fuga in Egitto”. Quindi il palazzo custodiva le opere di due grandi artisti che all'epoca erano chiamati più per le opere pubbliche che per quelle private: questo ci da la misura corretta della potenza e della ricchezza di Loredan!

Ancora una volta riscontriamo la voglia di autoaffermazione.

Il piano nobile ha una pianta con la classica forma a T rovesciata ed è l'ambiente riservato alla Sala Regia, creata nell’800 per volontà della Duchessa de Berry. In questo spazio della dimora, in pieno stile rinascimentale, vi sono elementi che ricordano un legame con lo stile francese, ed è possibile ammirare le opere di Palma il Giovane, appartenenti al 500.

Tra le altra sale del palazzo, degna di nota è la Sala dei Cuoi d'Oro, che prende il suo nome dalla particolare tappezzeria che la adorna realizzata in cuoio color oro, arredata in stile classico con lampadari imponenti e con un camino realizzato in marmo, databile all'inizio del XVII secolo. Particolarmente interessanti per gli affreschi di Gian Battista Crosato sono invece le sale interne, la Rossa e la Gialla che raffigurano l'Allegoria Nuziale.


Il Museo Wagner: la dolce melodia di Ca' Vendramin

Sulle mura di cinta di Ca' Vendramin che danno sul Canal Grande è posta una targa, scritta dal grande Gabriele D'annunzio, che recita:

In questo plagio l'ultimo spiro di Riccardo Wagner odono le anime perpetuarsi come la marea che lambe i marmi

Eh sì, è proprio vero! Dal 1882 al 1883, anno della sua morte, nello storico palazzo vi dimorò Richard Wagner. Egli, spinto dall'impulso di ricerca di quiete, scelse la Città quale sua ultima dimora. “Mi è diventato del tutto insopportabile il vivere in città grandi specie per l rumore delle carrozze che mi rende furioso. Ora è risaputo che Venezia è la città più tranquilla, vale a dire la meno rumorosa del mondo e questo mi fa decidere assolutamente per essa.” questo è quello che scrisse a suo suocero Liszt prima di trasferirsi a Venezia.

Il suo appartamento comprendeva l'ammezzato nell'ala del palazzo che affaccia sul giardino e comprendeva ben 28 stanze, cucina e servizi. Il luogo della casa che il compositore prediligeva era il grande salone che apriva le sue finestre su Canal Grande. Egli amava molto intrattenersi a parlare con suo suocero Liszt quando andava a trovare sua moglie Cosima. Fu proprio in queste sale che Liszt scrisse la prima stesura de “La lugubre gondola” che traeva ispirazione dal rumore dei remi che tormentavano la sua mente. Wagner godette per un tempo molto ristretto della sua dimora veneziana, ma diede non poco lustro alla città e alla casa che lo ospitò, un luogo destinato oggi ad ospitare il museo a lui dedicato: il Museo Wagner. Nulla di più vicino al sentimento che l'artista nutriva per Venezia che per lui incarnava la musica stessa, cosa testimoniata in particolare da una sua frase che recita

"Quando cerco una parola diversa per musica, posso solo pensare alla parola Venezia”

Il 13 febbraio del 1995, il Comune di Venezia affidò il famoso mezzanino all'Associazione Richard Wagner che allestì uno spazio museale aperto al pubblico quale omaggio all'amore del grande compositore per la città. Successivamente, nel 2003 anche le stanze adiacenti furono adibite a museo per ospitare la donazione di Josef Lienhart che consisteva in documenti, manifesti, lettere autografe, quadri, dischi, andando a costituire così la collezione più completa di Wagner, dopo quella di Bayreuth. Il museo, gestito dall'omonima associazione, organizza tramite il Centro Europeo di Studi e Ricerche Richard Wagner mostre, pubblicazioni, conferenze e concerti con lo scopo di diffondere la conoscenza della vita e delle opere musicali del compositore.

Richard Wagner e Venezia, una dolce sinfonia!