A sud di Venezia, di fronte al sestiere di Dorsoduro, sorge l’isola della Giudecca, un insieme di 8 piccole isole collegate tra loro. Da sempre un luogo tranquillo, zona residenziale priva di eccessiva presenza turistica che conta 5000 abitanti, la Giudecca è l’isola più estesa di Venezia e la sua storia è intimamente legata alla città e per tale motivo non è priva di attrazioni e luoghi di interesse. L’isola affaccia sul Canale della Giudecca, e sull’origine del nome esistono due teorie: la prima vuole che derivi da “giudei” ovvero "ebrei" in quanto l’isola venne utilizzata come ghetto ebraico, ma la teoria non è supportata da nessuna fonte scritta ed il primo ghetto ebraico di Venezia venne istituito nel 1500 nel Sestiere di Cannaregio. La seconda teoria vuole che il nome Giudecca derivi da “zudegà”, ovvero “giudicato” in veneziano, in riferimento alla sentenza per cui la Repubblica assegnò alcuni terreni dell’isola alle famiglie patrizie nel IX secolo.

Fin dalle prime bonifiche nel XII secolo, la Giudecca è stato un luogo ospitale ricco di orti produttivi, giardini colorati e conventi silenziosi, perfetto per evadere dal via vai del centro città. Nei secoli successivi ha subito una rapida espansione edilizia, i palazzi trascurati, i vicoli stretti e bui, gli acquartieramenti dei soldati, hanno creato un mix di degrado che ha reso l’isola una zona malfamata. In tempi più moderni, l'isola è stata recuperata con la realizzazione di complessi residenziali e ha acquisito nuovamente le qualità ambientali ed estetiche che aveva perduto.

Oggi è una delle mete da non perdere durante un soggiorno a Venezia, un piccolo gioiello che ospita alcune tra le chiese  e le architettura più belle di tutta la Laguna. Percorriamole insieme... 

La Basilica del Redentore

Progettata dall’architetto Andrea Palladio nel 1577, il Redentore è una delle chiese più importanti di Venezia e rappresenta uno dei massimi capolavori architettonici del Rinascimento. Venne eretta nel 1577 per volere del Senato della Repubblica per onorare un voto fatto durante la grave pestilenza del 1575. Il tempio, oltre ad essere famoso per la sua bellezza, è conosciuto per essere il centro di una delle feste popolari più sentite di Venezia. La “Festa del Redentore” viene celebrata annualmente ogni terza domenica di luglio per ricordare il pericolo scampato alla fine dell’epidemia che in due anni provocò oltre cinquantamila morti. Durante la domenica si svolgono le sante messe, la funzione solenne tenuta dal Patriarca e una processione religiosa, e la sera del sabato la città viene illuminata da uno spettacolo pirotecnico che attira migliaia di visitatori.

La chiesa, destinata ai padri cappuccini, si presenta con una pianta rettangolare, è composta da una navata unica con cappelle laterali decorate. La facciata di marmo bianco da sola vale la visita all’edificio ed è uno dei più rappresentativi esempi di ispirazione classica che hanno reso famoso Palladio. Sia la chiesa che la sagrestia sono ricche di opere di grande importanza come quelle di Paolo Veronese, Jacopo Tintoretto e Francesco Bassano, non mancano le reliquie e le realizzazioni devozionali legate alla storia della chiesa. 

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La Chiesa delle Zitelle

Consacrata alla presentazione della Beata Vergine Maria, la chiesa comunemente detta “delle Zitelle” fa parte di un complesso ecclesiastico creato dal gesuita Benedetto Palmi. La costruzione dell’edificio, progettato da Andrea Palladio, è iniziata nel 1581 e ultimata nel 1588. Il complesso ospitava giovani ragazze senza marito (da qui il nome), troppo povere per avere una dote e che quindi finivano per dedicarsi alla prostituzione. Nell’ospizio venivano accolte e venivano istruite al mestiere del cucito e della realizzazione dei merletti.

La struttura del ricovero si sviluppa con due lunghi bracci longitudinali ed un trasversale che abbracciano la costruzione della chiesa, e lasciando scoperto un piccolo giardino nella parte retrostante l'abside: costruzione semplice, connotata solo dalla presenza di tante piccole aperture che alleggeriscono il pieno del muro bianco, chiuso in alto dal suo tetto a spiovente. La chiesa si eleva dall'omonima Fondamenta con una facciata piuttosto semplice, con pochi decori. Si sviluppa in soli due ordini: nel primo si apre il portale di ingresso impreziosito da un timpano triangolare sorretto da due semicolonne, attorniato da due finestre dalla forma di ovale allungato; il secondo ordine è dominato dal grande termale e dall'enorme timpano triangolare di chiusura. Nella parte retrostante si alzano le due torri campanarie e l'alta cupola con la sua bella lanterna. L'interno si presenta con una pianta centrale, dominata dalla cupola, ed impreziosito dai dipinti di Jacopo Palma il Giovane, Antonio Vassillachi e Francesco Bassano, autore della "Presentazione della Vergine al Tempio" dell'altare maggiore. 

La Chiesa di Sant’Eufemia

Il tour della Giudecca non può che fare tappa alla Chiesa di Sant’Eufemia. Costruita nel IX secolo in stile veneto-bizantino, l’edificio ha subito numerosi restauri nel corso del Settecento che ne hanno modificato l’aspetto, in particolare la facciata. All’esterno la chiesa si presenta con un aspetto molto modesto, con la sua facciata a spiovente dominata dal bianco dell'intonaco e priva di ogni decoro, fatta eccezione per le due finestre semicircolari che ricordano l’arte del Palladio. L'atrio esterno, che si appoggia al lato sinistro della chiesa, si affaccia sul Canale della Giudecca, ed è costituito da un colonnato in stile dorico i cui elementi sono provenienti dal coro di Michele Sammicheli della vicina Chiesa dei Santi Biagio e Cataldo. L’interno invece è totalmente diverso, regalando una preziosità tipica del Rinascimento che si mescola a decori e stucchi del restauro del Settecento. L'impianto è basilicale strutturato su tre navate che conservano le colonne e i relativi capitelli della struttura originaria. Tra i monumenti di maggiore interesse va segnalato il gruppo scultoreo di Gianmaria Morlaiter con La Vergine col Cristo sulle ginocchia, mentre il soffitto racconta alcuni episodi di Sant'Eufemia.

Casa dei tre Oci

Un luogo da visitare alla Giudecca, che ne caratterizza il profilo sul Canale è la Casa dei tre Oci, situata sulle Fondamenta delle Zitelle. Disegnata dall’artista Mario De Maria nel 1913, la Casa dei tre Oci è una splendida testimonianza di architettura veneziana di inizio ‘900. Il pittore emiliano decise di costruire la sua nuova dimora per commemorare la figlia Silvia, scomparsa qualche anno prima. I tre finestroni della facciata rappresentano i tre membri superstiti della famiglia De Maria, mentre la bifora posta in alto simboleggia la bambina defunta. Nomi illustri del mondo dell’arte hanno soggiornato nella Casa, tra questi ricordiamo l’architetto Renzo Piano. Dal 2012, dopo un restauro ad opera di Fondazione di Venezia, l’edificio è diventato uno spazio espositivo aperto al pubblico, dedito all’elaborazione e al confronto culturale sui linguaggi del contemporaneo con particolare attenzione alla fotografia.

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Il Molino Stucky

All’estremità occidentale dell’isola sorge il Molino Stucky, una delle architetture industriali più famose della Laguna. Il palazzo fu costruito tra il 1884 e il 1895 per volere di Giovanni Stucky, noto imprenditore e finanziere svizzero. L’architettura neogotica dell’edificio è da attribuire all’architetto Ernst Wullekopf. Il molino venne costruito per sfruttare il canale veneziano per un veloce trasporto via acqua del grano da destinare al mulino della Giudecca. Durante la sua piena attività, l’impianto industriale ospitava millecinquecento operai ed era in grado di macinare fino a duemilacinquecento quintali di farina al giorno. La spietata concorrenza della terraferma spinge il molino ad attraversare un periodo di decadenza nei primi anni del 1900. Il colpo di grazie si ebbe con l’omicidio di Giovanni Stucky per mano di un operaio nel 1910. Nei decenni successivi, l’edificio cambia proprietari, ma i lavori di ristrutturazione mantengono inalterato lo stile neogotico del molino che oggi è un residence della Hilton, dotato di centro congressi, piscina panoramica, una sala convegni e un albergo da 379 stanze. I manufatti necessari al restauro sono stati selezionati con la supervisione della Soprintendenza alle Belle Arti dopo un attento studio cromatico che garantisse una completa aderenza al disegno originale della costruzione. Un piccolo grande gioiellino da non perdere.

Il complesso residenziale IACP - Gino Valle

Nascono sull'area industriale Trevisan che su deposito di legnami le abitazioni del Complesso IACP di Gino Valle. Situate all'estremità occidentale dell'isola, proprio alle spalle del colossale Molino Stuchy, sono tra le case popolari meglio riuscite di tutta Italia. Siamo nei primi anni 80.

Un complesso dall'alta densità abitativa, ma che riesce ad essere funzionale e regalare benessere a chi vi dimora, grazie alla realizzazione di spazi aperti condivisi e di una importante organizzazione del privato. E' proprio lo spazio l'elemento centrale e fondamentale del progetto di Gino Valle, perchè è sempre stato lo spazio l'elemento caratterizzante dell'architettura cittadina di Venezia: questo complesso residenziale ripercorre magistralmente, infatti, la compressione e la dilatazione degli spazi propri e collettivi della struttura veneziana, con la loro compenetrazione continua di interno ed esterno, pubblico e privato. E così nascono in un linguaggio moderno calli e callette, campi e campielli, sotoporteghi e corti. Gli altri due elementi caratterizzanti di quest'area sono senza dubbio l'organizzazione planimentrica, definita "a tappeto", secondo cui ogni singolo alloggio ha un suo ingresso indipendente: ne vien fuori una densità abitativa che è tipica della città veneziana, dove gli spazi sono stretti ma ben sfruttati, dove la vicinanza è condivisione, mai problema. E gli alloggi sono divisi in ben 3 tipologie: agli estremi orientale e occidentale nascono le torri con i loro quattro piani, nella zona centrale ci sono le case a patio e a sud il tutto è chiuso da una fila di alloggi a schiera a due piani. E' a questa differenziazione che fa riferimento il terzo elemento fondamentale della progettazione di Valle: la necessità di realizzare delle sezioni digradanti al fine di rendere la Laguna visibile da quasi tutti gli alloggi.

Anche la scelta dei materiali ha un forte richiamo con la città preesistente: domina il mattone rosso dei muri pieni, come nella città di ieri, intervallato dal bianco degli elementi in cemento armato, come sobri decori che strizzano l'occhi alla serenissima pietra d'Istria.


Il quartiere residenziale Judeca Nova

Era il 1995 quando l'architetto Cino Zucchi vince il concorso indetto da un privato in collaborazione con il Comune di Venezia per la trasformazione dell'ex area industriale Junghas, posta proprio al centro dell'isola della Giudecca, in quella zona aperta verso la Laguna Nord. 

L'idea era quella di recuperare un'intera area e "donarla" ai cittadini, grazie alla realizzazione di un complesso residenziale e di alloggi universitari: nacque la Judeca Nova. Alla progettazione parteciparono grandi nome del panorama architettonico internazionale, come Boris Podrecca, Bernard Huet / Lombardi De Carli Associati, Giorgio Bellavitis e lo Studio Archè. E fu così che un linguaggio nuovo e moderno, contemporaneo, riuscì perfettamente ad insediarsi nella trama storica di un territorio così difficile come quello veneziano.

Ed il problema del nesso tra nuovo e antico è stato il nocciolo centrale di questo progetto, insieme all'idea di regalare una nuova "venezianità" all'intervento. E così che una parte degli edifici sono stati conservati e trasformati, altri sostituiti da un tessuto nuovo che insiste sul vecchio sedime. Nella parte meridionale dell'area di intervento, invece, nulla è più come prima, magnificamente sostituito da quattro edifici in linea che si affacciano tra un nuovo canale ed un nuovo campo. Si è ridisegnato il profilo di questa parte di isola, operazione a cui Venezia non è abituata, poichè qui si tende sempre a conservare e lasciare tutto immutato. Ma il mondo e il paesaggio cambiano, si modificano, come anche la complessità sociale ed economica ed è giusto che anche l'urbano viva una nuova modernità.

Ma questo l'intervento riesce a raccontare con un linguaggio moderno una storia antica, quella di una città che si è sempre saputa rinnovare, che ha sempre saputo trasformarsi e ricostruire. Da qui la necessità di caratterizzare in maniera differente i vari e edifici, al fine di contrapporre una sorta di eterogeneità alla monotonia dell'uniformità, del tutto avulsa agli scenari veneziani. Ed è per questo che al progetto corale hanno partecipato architetti diversi, ognuno con la sua idea e la sua progettualità, tenuti insieme dalla supervisione di Zucchi: una vera e propria variazione sul tema "Venezia oggi" che aggiorna la sua immagina. Una simulazione della città, in cui in maniera elegante e sofisticata, contemporanea e funzionale il moderno si innesta perfettamente nelle antiche atmosfere veneziane, arricchendole di uno sperimentalismo linguistico di oggi.